Il testo di Omero narra di un eco dal fascino antico, il cui palcoscenico si snoda tra le vie sotterranee del Monastero dei Benedettini di Catania, esponendo storie di personaggi ed eroi in uno degli spazi più suggestivi del territorio siciliano.
Le cantine settecentesche dell’ex complesso monastico, caratterizzate da un mosaico di pietra lavica risalente al 1669, hanno ospitato la settantesima replica di “Ulisse all’Inferno”, uno spettacolo teatrale itinerante a cura di Officine Culturali e con la partecipazione straordinaria di Angelo D’Agosta. La particolarità, suggerisce l’attore, regista e autore teatrale catanese è: “quella di aver deciso di raccontare una storia che non ha a che vedere con quella del Monastero”, eppure lo rende dimora di un racconto che si incastra incredibilmente nei suoi ambienti architettonici.
Un momento artistico e creativo che, ricorda Giovanni Sinatra, Responsabile della comunicazione di Officine Culturali: “fa parte di quei linguaggi che, Officine Culturali, anche grazie al partenariato speciale pubblico-privato con l’Università di Catania, sceglie per raccontare alcuni dei luoghi della città”. Un percorso di ricerca quello intrapreso dall’Associazione Impresa Sociale nata nel 2009, che ha già visto importanti risultati con produzioni site-specific quali “Bemporad”, “La carta del cielo”, “Fonte a ponente, luna crescente”, “Mille miglia lontano”. Con “Ulisse all’inferno” il codice comunicativo prescelto è quello del teatro, attraverso cui i luoghi divengono protagonisti di storie e parole evocative.

Un’esperienza coinvolgente per il pubblico che pone in scena il X e il XI libro dell’Odissea, due dei canti più imponenti e riconoscibili del poema epico. E’ qui che Ulisse, avendo assistito alla morte dei suoi compagni di viaggio e approdato sull’isola di Circe, varca le soglie dell’inferno, dove il susseguirsi di alcune apparizioni rivelatrici lo disorientano e convincono a ritornare sulla nave.
Storie di uomini, donne, luoghi e tempi si intrecciano indissolubilmente nelle memorie di cui il monastero è custode, per valorizzarne e tutelarne il patrimonio culturale e insieme promuoverne i luoghi, come garanzia di comunità e comunione.